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10 settembre 2015

Com'è bello colorare!


Ciao a tutti!
Come state? Avete trascorso una buona estate? Spero proprio di sì! Io purtroppo non sono riuscita a staccare neanche un po', e mi è toccato lavorare a ben tre guide (sono redattrice): Cina, Giordania e Danimarca. Inutile dire che avrei dato metà dei miei capelli per poter essere in Danimarca, invece di starmene al chiuso in casa a correggere la bozza relativa, ma tant'è... C'è di peggio, dài: mettiamola così. Comunque l'estate è stata bella perché non ho dovuto andare in ufficio, il che mi ha scansato tre ore buone al giorno di viaggio. Così ne ho approfittato per lanciarmi in un paio di nuove esperienze. Cosa? Innanzitutto, Duolingo. Lo conoscete? Si tratta di un corso on-line per imparare le lingue, interamente gratuito. Io mi sono cimentata col francese, che purtroppo finora era per utenti che parlano inglese – anche se devo dire che è sufficiente una conoscenza molto superficiale di questa lingua. Proprio oggi, però, dovrebbe uscire la versione Beta del francese per chi parla italiano: inutile dire che non sto nella pelle! La seconda cosa bella che ho scoperto quest'estate è... colorare. Sai scoperta, direte voi. In effetti è più una riscoperta, dato che da bambina (come tutti i bambini, credo) coloravo. Ma da qualche tempo c'è la moda del colorare anche da adulti. Pare che rilassi perché mentre si colora la mente vaga dove vuole senza però incastrarsi in un pensiero particolare (in genere sono i brutti pensieri quelli in cui ci s'incastra, o quanto meno ansiogeni, del tipo «devo lavare i vetri, devo stirare» e così via). Colorando invece... si colora e poco altro. Esistono in vendita parecchi libri da colorare (link Amazon.uk), ma se ne trovano anche nel web da scaricare gratis. Secondo me i più incredibili sono quelli tipo giardino segreto: sono già magnifici così, in bianco e nero. Ma mi piacciono anche quelli più schematici, tipo fiorelloni stilizzati alla Takashi Murakami o in stile Marimekko, oppure quelli sinuosi che ricordano un po' l'art nouveau. Nella foto vedete il mio primo disegno colorato (a pennarelli). Se vi piace, potete farlo anche voi scaricandovi l'originale che trovate a questo link.
Buon lavoro!!!

31 agosto 2013

Provati per voi: bed & breakfast
«Il Giardino dei Semplici»
e la casa sull'albero

Ciao a tutti, cari lettori e care lettrici! Oggi voglio mostrarvi qualche scatto di un posto da fiaba: la casa sull'albero del b&b Il Giardino dei Semplici, a Manta (Cuneo). Ci sono stata qualche giorno fa con il Pupo, per festeggiare il suo compleanno. Sì, sì, avete letto bene: una casa sugli alberi, o meglio, fra gli alberi, dato che non è proprio appoggiata sui rami di un albero, bensì sta in mezzo alle chiome, collocata su una palafitta. Dormire in mezzo al fogliame di un bosco, sospesi fra cielo e terra, è decisamente un'asperienza da provare, soprattutto se si sta in una casetta graziosa come questa. Ma bando alle ciance: lasciamo parlare le foto!

Cammina cammina in un misterioso boschetto di querce, ecco che si vedono delle lucine, così non ci si perde neanche se fa buio: è la passerella che conduce alla nostra casetta sull'albero!


Ed eccola, la nostra casetta fra le foglie, tutta di legno e profumatissima.


All'interno, un comodo letto, pieno di cuscini romantici e vezzosi.



Anche i comodini sono deliziosi, pieni di particolari curatissimi, come i cuscinetti con le scritte ricamate, i cuori imbottiti e le decorazioni in legno.



Non manca il bagno, minuscolo anch'esso come la camera, ma anche lui ricco di dettagli rustici e al contempo eleganti, e anche lui con tanto tanto legno (siamo o non siamo su un albero?).


Ma tutta la casetta è piena di particolari graziosissimi, uno più bello dell'altro, come il quadretto di lino ricamato...


... o le casette per gli uccellini disposte tutte in fila sulla trave del soffitto...


... o ancora i cuscinetti imbottiti e ricamati...


... e i mille e mille altri particolari che non ci starebbero tutti in un post (ma che, vi assicuro, ho fotografato tutti!).

E al mattino, si sbircia dalla finestra blu per vedere com'è il tempo, e si scopre che qualcuno ci ha apparecchiato la tavola fuori, sulla veranda sospesa fra gli alberi, e ci ha portato una lauta colazione.



Che c'è di meglio, allora, che iniziare la giornata godendosi croissant, yogurt, cereali, marmellata, burro, pane, formaggio, composta di mele, succo di frutta, caffè, tè e latte, comodamente seduti nel verde, ammirando il nostro incantevole rifugio fuori dal mondo?


Verrebbe voglia di starsene qui per sempre, ma ahimè, non è possibile. Ma per fortuna una volta il sogno s'è avverato, e chissà che non succeda ancora...?

Bed & breakfast «Il Giardino dei Semplici»
via San Giacomo, 12 – 12030 Manta (Cuneo)


03 maggio 2012

Stasera ceniamo fuori?

Sìììììì!!!!!! E sarebbe anche ora, dopo tutte queste settimane tappati in casa perché fuori piove, fa freddo ed è buio come d'inverno! Sabato scorso, quindi, che non pioveva (miracolo!), il Pupo e io siamo ne abbiamo approfittato per uscire fuori a cena. Ma dato che noi non amiamo andare in locali e ristoranti di sabato, quando sono troppo affollati, abbiamo deciso di cenare fuori sì, ma...
sul balcone!



Proprio così: poco impegnativo, rilassante, decisamente esclusivo! Non è richiesto l'abito da sera, non c'è folla e costa pochissimo. Si raggiunge in un niente, e si rincasa in un baleno (e non si rischia la prova-palloncino!). Così, mentre il Pupo ammanniva salatini e patatine e mesceva etilici (il rosso è il mio), io allestivo il balcone, da brava exterior designer. Be', come vedete non ho poi fatto un granché: ho sistemato tra i fiori due seggioline spaiate, un paio di pezzotti per poter stare scalzi anche sul balcone, un fantastico e utilissimo tavolinetto ribaltabile Ikea, tovaglietta e tovaglioli sempre Ikea.
E poi... passa il tempo, finiscono i salatini e cala la notte...


... E si accendono le mitiche lucette colorate a energia solare, sempre dell'Ikea.
Non sono bellissime? Io le adoro!


(Nel frattempo sono anche arrivati i panini...)
Bilancio della cena fuori: stupenda!!!

18 febbraio 2012

Intervallo: (alcune)
cose che mi piacciono

Avete presente i filmoni polpettoni di una volta, quelli che quando li trasmettevano alla Rai o al cinema c'infilavano l'intervallo (sigaretta? pipì?). Bene, dato che oggi sono un po' indaffarata e non ho tempo né testa per pubblicare qualcosa di più «strutturato», ho pensato di postare alcune semplici foto che rappresentano cose che mi piacciono.
Buon fine settimana!













01 febbraio 2012

Neve, limone e zucchero

Vi ricordate quando eravamo bambini (e nevicava di più, o almeno è quello che sostiene ogni adulto, in qualsiasi epoca...) e mangiavamo la neve? Un po' lo si faceva per gioco, un po' perché ci piaceva davvero. E in effetti la neve è come il ghiaccio ma più buona, così come certe acque sanno d'acqua ma son più buone di altre acque. Allora la neve scendeva meno inquinata, e dopo essersi posata rimaneva pulita più a lungo di adesso. Tuttavia, se ne viene giù proprio tanta (anche ora che siamo adulti...) e ci si trova lontano dalla città e dalle strade quanto basta, perché non assaggiarla di nuovo, dopo tanti anni? L'altra sera io e il Pupo l'abbiamo fatto: eravamo in campagna e il Pupo, memore di una «ricetta» che gli avevo menzionato tempo prima, è uscito di casa sfidando il freddo pungente e si è riempito una bella ciotola di neve presa in cortile, poi ci ha aggiunto del succo di limone e dello zucchero, ha mescolato... et voilà! Un sorbetto al limone così buono io non l'avevo mai mangiato, ve l'assicuro! Era il gelato dei bambini di qualche decennio fa, dalle mie parti, quando non c'erano gelaterie ogni angolo di strada (e, soprattutto, non aperte d'inverno) e comunque non si avevano tanti soldi da «sprecare» in frivolezze. E in fondo molte cose buone sono lì, a portata di mano, e costano poco o nulla: basta solo saperle vedere e apprezzare.

29 gennaio 2012

Domenica sotto la neve!


Oggi ho deciso di non lavorare: voglio ciondolare per casa cercando di annoiarmi il più possibile. Sarebbe una bella novità! E così, stamattina ho poltrito sotto il piumone, anche perché causa neve era saltata la luce e il riscaldamento non era acceso. Dopo colazione, però, io e il Pupo non abbiamo resistito e siamo andati a zampettare nella neve: quanta, che ne è venuta! E continua! Qui in campagna è bellissimo. Siamo un po' isolati, è vero, ma finché non si è obbligati a spostarsi si sta davvero bene. Ecco qualche foto che ho scattato durante la nostra passeggiata.










03 gennaio 2012

Neve e... un cuscino arcobaleno

La mia "trasferta" campagnola prosegue. Chissà per quanto ancora; l'ultima volta che io e il Pupo siamo venuti qui "per una settimana", alla fine ci siamo rimasti un mese! Ogni tanto, però, ci tocca fare un salto in città per questioni lavorative, come ad esempio è successo ieri mattina. Dopo poche ore di caos e stress, non vedevo l'ora di tornare qui. E finalmente nel pomeriggio ci siamo liberati delle rogne di lavoro e siamo ripartiti in auto alla volta della pace e della quiete. Ma chi si aspettava che al nostro ritorno avremmo trovato la neve?
La sera, per rinfrancarci dell'ansia della giornata trascorsa in città, ci siamo dedicati all'assoluto ozio. Dopo una cenetta semplice ma molto apprezzata (a volte anche un piatto di gnocchi confezionati può essere speciale), ci siamo guardati in streaming un episodio della Signora in giallo, un telefilm che guardava già mia nonna, la quale certo non amava i programmi troppo "coinvolgenti"; e io, specie in certe occasioni, non sono da meno: ben vengano gli omicidi, ma in una cornice tranquillizzante come quella di Cabot Cove (o di Midsomer, ma questa è un'altra storia... pardon: telefilm)!
Terminato l'episodio, mi sono dedicata al mio nuovo lavoro all'uncinetto: un cuscino di tantissimi colori arcobaleno. Il "cuscino del buonumore", lo chiamo io ironicamente. Però in effetti tutti quei colori mettono allegria. E, uncinetta uncinetta, nella pace della campagna ieri sera l'ho finito!
Raccapricciante, vero, l'effetto del cuscino sullo sfondo di quel piumone? 
Be', non sapevo altrimenti dove metterlo in posa, quindi... vi prego di chiudere un occhio!
Che ne dite? Vi piace?

23 ottobre 2011

Falafel

Ecco  un piatto semplice da cucinare, a base di ceci, completamente vegano, un po' diverso dal solito e decisamente stuzzicante! Per la ricetta, ringrazio il Negozio Leggero, che vende una vastissima gamma di prodotti alimentari, cosmetici e per la pulizia, tutti «sfusi», in modo da non inquinare il mondo con la plastica degli imballaggi. In questo negozio, oltre a paste, risi, legumi, cereali, farine, detersivi, latte (crudo), uova, vino ecc., si possono trovare anche tante buone ricettine.




Ingredienti:

• 2 tazze di ceci secchi
• 1 cipolla
• 1 spicchio d'aglio
• prezzemolo
• sale
• 1/2 cucchiaino di coriandolo
• 1/2 cucchiaino di cumino
• pepe macinato
• olio per friggere





Tenete in ammollo i ceci per una notte in acqua fredda. Sciacquateli e passateli nel mixer con la cipolla, l'aglio e il prezzemolo. Condite il composto con il sale e le spezie e lasciate riposare 20 minuti. Con questo impasto modellate delle palline da friggere nell'olio caldo per circa 8 minuti (e in genere finché non siano belle dorate).

Nella foto vedete i miei falafel accompagnati da: salsa di melanzane, panini arabi e tzatziki. Se volete le ricette di queste salse e dei panini... rivolgetevi al Pupo, visto che li ha preparati lui: magari così si deciderà a metter su un blog di cucina!!!

14 agosto 2011

Paissa-Eataly: 1 a 0

Da qualche giorno a Torino in via Lagrange ha aperto una filiale di Eataly, il «supermercato» di cibi di qualità, del territorio, a chilometro zero, tipici, bla bla bla, fondato da Oscar Farinetti (già fondatore di UniEuro: ricordate l'ottimismo, sale della vita?), improntato alla stessa filosofia enogastronomica su cui è incentrato Slow Food. Premetto che conoscevo già la sede del Lingotto, di cui apprezzo la possibilità e comodità di trovare molti generi alimentari un po' particolari tutti insieme (che è il principio di base dei supermercati in genere, molto poco «slow» rispetto alle botteghe di una volta e ai mercati rionali; ma tant'è). Certo, da Eataly costa tutto di più: per esempio, i torcetti della ditta Massera (squisiti!) saranno anche difficili da trovare, fatto sta che al Crai di via Vanchiglia ci sono, e costano qualche decina di centesimi in meno. Ma è anche vero che il Crai non è «fashion» come la sede di Eataly, che – ripeto – mi piace visitare di tanto in tanto per qualche compera (stando però ben alla larga dalle pere: una volta ne ho acquistata una da accompagnare al formaggio, ed era immangiabile: durissima, legava i denti e non sapeva assolutamente di nulla; ma tant'è). Già: tant'è. La curiosità di fare un salto nella nuova filiale c'era, e così sabato mattina il Pupo e io siamo andati a sbirciare, con la scusa che lui doveva acquistare qualche regalo mangereccio e bevereccio. Purtroppo siamo arrivati ch'era ora di pranzo, e a quanto pare i torinesi non ancora in ferie erano tutti lì a mangiare. Sì, perché da Eataly – per chi non lo sapesse – oltre a fare la spesa come in un supermercato, si può anche metter qualcosa sotto i denti. Al Lingotto, però, le due attività sono tenute sufficientemente separate: in alcune zone, oltre agli scaffali di prodotti gastronomici, ci sono i «ristorantini», che consistono in banconi ai quali ci si può sedere per assaggiare piatti preparati con i cibi in vendita in quel reparto. In via Lagrange, invece (vuoi perché non tutti hanno la dote di fare due più due e prevedere il prevedibile, vuoi per tenere il piede in due staffe, leggi «fare più soldi»), han pensato bene di mettere tavolini e seggiole dappertutto! Risultato: un girone dantesco. Ci siamo trovati a scegliere cosa comprare dagli scaffali, col sedere praticamente sulla testa di chi mangiava; se uno si alzava dal tavolo, sbatteva lo schienale della sedia contro un cliente; per non parlare delle cameriere che sfrecciavano ovunque in mezzo alla folla reggendo piatti di pasta sui quali chiunque, prima che fossero giunti a destinazione, poteva sternutire, tossire, far cadere capelli e altre amenità. Secondo me, è totalmente non a norma. Fra l'altro, sarò strana, ma a me vedere la gente che mangia fa passare l'appetito, e quindi anche la voglia di comprare da mangiare. E poi, come si fa a ciondolare bel belli a guardare bottiglie di vino, a mezzo metro da gente che sta pranzando? Che intimità! Per non parlare di quei poveracci che stavano seduti a tavola, con la gente che gli girava intorno alla ricerca del reparto prosciutti! Altro che «slow»!

C'è da dire, poi, che la scelta di Eataly sembra enorme, ma in realtà presenta delle lacune. Il Pupo cercava l'alkermes, e lì non l'abbiamo trovato. Allora ho pensato di andare in quella meravigliosa drogheria che si trova in piazza san Carlo: Paissa. Sta lì da più di un secolo, quando non si parlava di prodotti tipici, perché tanto era già tutto tipico; da Paissa, poi, è anche tutto speciale. Le sue grandi vetrine mostrano con orgoglio whisky da 200 euro (e li valgono tutti) accanto a saponette cinesi al gelsomino da 1 euro, creme al tartufo e fois gras accanto a detersivi per pavimenti: e tutto di ottima qualità. Hanno le galettes bretoni a 2 euro e i krumiri di Casale a 20 euro, i dolcetti turchi lokum e le offelle di Parona, le gaufres francesi, il sapone Valobra in tutte le profumazioni possibili, vini di tutti i prezzi, grissini, tè di ogni provenienza in scatole di latta dipinte... e poi tanta, tanta cioccolata! Dimenticavo: hanno anche l'alkermes... Ma la cosa impagabile – e, a quanto pare, irriproducibile – è che, varcata la soglia di questo sancta sanctorum delle delizie, ti ritrovi in un ambiente nient'affatto snob, o alla moda, o «slow». Dentro, trovi semplicemente un ambiente accogliente, stipato fino al soffitto di leccornie, e una gentilissima signora di una certa età che ti serve come se fossi l'unico potenziale cliente sulla faccia della Terra: con calma, con garbo, con semplice eleganza, con soddisfazione e competenza. Perché Paissa non è «tipico»: è solo e semplicemente Paissa. Paissa non è «slow» (banalissimo, questo uso di vocaboli inglesi: non molto tipici..., ma si vede che l'italiano non attira abbastanza clienti, con buona pace di Dante e Manzoni). Paissa è molto di più: è un posto dove si ritorna bambini che guardano con occhi spalancati meraviglie che si erano dimenticate, ma che poi, a osservarle bene, ci si ricorda che quel tè lo beveva il nonno, quel detersivo lo usava la nonna, quei bonbon te li comprava la mamma quand'eri piccolo e quelle saponette hanno un profumo che hai già sentito tanti anni fa.

09 luglio 2011

Piole e cucina siberiana

Finalmente ieri, dopo tanti, troppi giorni di lavoro indefesso, ci siamo regalati una serata di riposo. Meta: Quadrilatero romano. Obiettivo: cena al ristorante siberiano. Così, un po' prima delle sette mi sono «fatta bella»: ero molto trendy, in leggins e miniabito bon-ton acquistato l'anno scorso da Zara in supersaldo (da 40 a 5 euro!) e mai indossato prima; ai piedi, ballerine, dato che la nostra intenzione era di camminare parecchio per le viuzze del Quadrilatero, approfittando del fresco della sera e anche per sgranchirci dopo troppo tempo passato seduti al computer. Ma per l'andata avevamo altri piani: prendere il minibus della linea Star 2, che è elettrico e graziosissimo, poiché percorre vie del centro altrimenti vietate al traffico. Così, durante il tragitto, come al solito quando sono su un mezzo pubblico ho «fatto il cagnolino», vale a dire che ho guardato affascinata ciò che scorreva al di là del finestrino, col naso pressoché schiacciato contro il vetro. Arrivati alla meta, siamo scesi e abbiamo cominciato a vagare per le stradine, così, senza una direzione precisa, semplicemente lasciandoci guidare dall'ispirazione del momento a ogni nuovo incrocio. Così facendo, a un certo punto ci siamo trovati in una stradina che – incredibile a dirsi – non avevo mai percorso fino in fondo: via Porta Palatina; e lì, a un tratto, in mezzo a facciate di case bellissime e un po' fanées, eccola lì: una piola!





















Cari lettori, nel caso non foste piemontesi dovete sapere che la piola è il bar trattoria, una vera istituzione, qui a Torino, e, come la gran parte delle istituzioni, ormai in via di estinzione. E quindi immaginate la mia sorpresa nello scorgere la vetrina un po' opaca di questo esercizio, in una zona che conserva ancora il suo fascino, ma solo perché in partenza ne aveva proprio tanto, dato che negli ultimi anni è diventata di certo più sicura, pulita e «per bene», con l'apertura di una miriade di locali alla moda (e alla fine tutti uguali) e boutiques chic, ma anche tanto, tanto meno «autentica». Eh sì: la «Torino da bere» presenta innegabili vantaggi, ma la nostalgia per le stradine malconce, le case malandate, i portoni bui ma pieni di mistero e di fascino un po' mi manca. Manca a me, che sono relativamente giovane e che quindi forse ho non nemmeno mai conosciuto quella Torino alla Arpino; figuriamoci quanto manca a chi l'ha vissuta davvero: per me, in fondo – che poi son mandrogna – è, se non proprio archeologia, diciamo vintage. E così, ieri sera, eccola lì: la piola. Un reperto archeologico, un tocco di vintage nella Torino dei fighetti. Ovviamente siamo entrati. Che magia varcare la soglia. Nella microscopica stanza, sulla sinistra un bancone su cui campeggia una Faema a occhio e croce anni sessanta; a destra due o tre tavolini in formica; alle pareti una boiserie di dubbio gusto ed etichette di vini e liquori (un po' sghembe). Oltre una portina, un cortiletto con qualche seggiola, fra case fatiscenti e mezzo vuote e palazzi del Settecentesco perfettamente restaurati. Il Pupo (che non perde mai tempo quando si tratta di faccende importanti) ordina due bianchini. Ce li versa – con mano più ferma di quanto mi sarei aspettata – un signore anziano dal fare dignitoso, con tanto di grembiale blu, molto professionale. Ce li mesce da un bottiglione, un dupiliter, ovviamente senza etichetta. Sul bancone, accanto ai croissant, ci sono le uova sode: meraviglia! Robe d'altri tempi, quasi esotiche (fan tanto Maigret). Sorseggio il mio vinello bianco assaporando più che altro l'atmosfera, che è impagabile. E invece un costo ce l'ha: 1 euro, il bianchino. Sarà un prezzo simbolico: un posto così non ha prezzo!

Per chi fosse interessato al locale (ma mi raccomando: no perditempo, neh), ecco qui qualche link dove potrete trovare degli articoli su questa piola:
http://www3.lastampa.it/cucina/sezioni/dove/sulla-strada/articolo/lstp/402384/
http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/04/02/news/ma_che_gioia_la_vineria_ranzini_autentica_sapida_ed_economica-14400757/
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/07/02/dai-ranzini-suggestioni-da-fine-ottocento.html

Insomma: l'inizio della serata è stato ottimo. Continuiamo a vagare senza meta per le stradine ancora non troppo affollate del Quadrilatero, e arriviamo a un'altra mescita vini, questa con qualche pretesa, ma per fortuna delle chicche le conserva, come gli habitué che giocano a carte nella stanza a fianco. Ma per farvi capire quanto questo locale sia più «addomesticato» della piola di cui sopra, vi basti sapere che qui, col vino, ti danno anche i rubatà; e il vino costa da 1,30 a 2,50. Decisamente, un'altra cosa. Comunque da provare.

Ma a quel punto ci è venuto un certo languirino, e così ci siamo incamminati verso il nostro obiettivo: il ristorante siberiano. Il locale è stupendo: una vastissima stanza con un soffitto a cassettoni imponente, davvero uno spettacolo. Merita già solo per questo. Poi, se ci si ferma anche a mangiare tanto meglio... Dato che era la nostra «prima volta» con la cucina siberiana, abbiamo optato per il piatto Sibir, che presenta il vantaggio di essere componibile e «libero», il che nel mio caso è sempre un vantaggio perché ho il dono di riuscire a far stare in un piatto una quantità di cibo inimmaginabile, che sfida le leggi della fisica. C'è un bouffet di vari tipi di carne ancora cruda tagliata a cubetti (tacchino, agnello, manzo, maiale), salsiccia, gamberoni di fiume e verdure varie: ti ci riempi il piatto e lo porti al cuoco che ti cuoce il tutto sulla pietra, ti ricompone il piatto e ci aggiunge riso nero venere e riso bianco basmati; poi tu completi con salse e spezie a piacere. Era davvero una delizia, accompagnato da una birra Baltika, che, essendo molto simile a una weiss, ho trovato molto buona. Per finire... ho spiluccato il dolce dal piatto del Pupo, che non si lascia certo mettere ko da un piatto gigantesco di carne e verdura e riso e salse e spezie, e ha ordinato pure il dessert! Proprio un'ottima cena.


Siamo usciti dal ristorante sazi e soddisfatti.
Intanto era calato il buio, e le viuzze del Quadrilatero, specie quelle meno affollate, sotto le luci calde e fioche dei lampioni ritrovano un poco del loro fascino d'antan, così come lo ritrovano nella fredda luce del mattino. E quindi abbiamo continuato il nostro vagare. E come spesso accade quando si vaga senza meta e soprattutto senza fretta, abbiamo scoperto delle piccole meraviglie: il terrazzo di un anonimo palazzone contornato da una fila di ombrelloni, che si stagliavano bianchissimi contro il cielo scuro e nuvoloso e ondeggiavano al vento della sera, come fantasmi. E poi un cortile incantevole, un posto davvero speciale che mi sono ripromessa di andare a «perlustrare» di giorno, sperando di trovare il portone aperto: una specie di chiostro verandato con lampioni di ferro battuto lavorato come un pizzo e paracarri di bronzo in foggia di demoni. Oltre il cortile se ne scorgeva un altro (questo, purtroppo, chiuso da una vetrata) pieno di verde e di mistero.
Abbiamo poi passeggiato ancora un po', ma spingendoci sempre più verso casa, perché ormai la stanchezza si faceva sentire. Comunque, è stata un serata bellissima!

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