10 agosto 2011

«Il vecchio che leggeva romanzi d'amore»

Antonio José Bolívar Proaño si alzò lentamente in piedi. Si avvicinò all'animale morto e rabbrividì vedendo come l'avevano deturpato i due colpi. Il petto era una gigantesca ecchimosi e dalla schiena spuntavano resti di budella e di polmoni spappolati.
Era più grande di quello che aveva pensato vedendola la prima volta. Benché fosse magra, era un animale superbo, bellissimo, un capolavoro di vigore impossibile da riprodurre anche solo col pensiero.
Il vecchio la accarezzò, ignorando il dolore del piede ferito, e pianse di vergogna, sentendosi indegno, umiliato, in nessun caso vincitore di quella battaglia.
Con gli occhi annebbiati dalle lacrime e dalla pioggia, spinse il corpo dell'animale fino alla riva del fiume, e  le acque se lo portarono via, verso l'interno della foresta, fino ai territori mai profanati dall'uomo bianco, fino all'incontro col Rio delle Amazzoni, verso le rapide dove sarebbe stato squarciato da pugnali di pietra, in salvo per sempre dalle bestie indegne.
Gettò subito via con furia la doppietta e la vide affondare senza gloria. Bestia di metallo odiata da tutte le creature.
Antonio José Bolívar Proaño si tolse la dentiera, l'avvolse nel fazzoletto, e senza smettere di maledire il gringo primo artefice della tragedia, il sindaco, i cercatori d'oro, tutti coloro che corrompevano la verginità della sua Amazzonia, tagliò con un colpo di machete un ramo robusto, e appoggiandovisi si avviò verso El Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d'amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana.

(tratto da Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, di Luis Sepúlveda, 1989)

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