09 luglio 2011

Piole e cucina siberiana

Finalmente ieri, dopo tanti, troppi giorni di lavoro indefesso, ci siamo regalati una serata di riposo. Meta: Quadrilatero romano. Obiettivo: cena al ristorante siberiano. Così, un po' prima delle sette mi sono «fatta bella»: ero molto trendy, in leggins e miniabito bon-ton acquistato l'anno scorso da Zara in supersaldo (da 40 a 5 euro!) e mai indossato prima; ai piedi, ballerine, dato che la nostra intenzione era di camminare parecchio per le viuzze del Quadrilatero, approfittando del fresco della sera e anche per sgranchirci dopo troppo tempo passato seduti al computer. Ma per l'andata avevamo altri piani: prendere il minibus della linea Star 2, che è elettrico e graziosissimo, poiché percorre vie del centro altrimenti vietate al traffico. Così, durante il tragitto, come al solito quando sono su un mezzo pubblico ho «fatto il cagnolino», vale a dire che ho guardato affascinata ciò che scorreva al di là del finestrino, col naso pressoché schiacciato contro il vetro. Arrivati alla meta, siamo scesi e abbiamo cominciato a vagare per le stradine, così, senza una direzione precisa, semplicemente lasciandoci guidare dall'ispirazione del momento a ogni nuovo incrocio. Così facendo, a un certo punto ci siamo trovati in una stradina che – incredibile a dirsi – non avevo mai percorso fino in fondo: via Porta Palatina; e lì, a un tratto, in mezzo a facciate di case bellissime e un po' fanées, eccola lì: una piola!





















Cari lettori, nel caso non foste piemontesi dovete sapere che la piola è il bar trattoria, una vera istituzione, qui a Torino, e, come la gran parte delle istituzioni, ormai in via di estinzione. E quindi immaginate la mia sorpresa nello scorgere la vetrina un po' opaca di questo esercizio, in una zona che conserva ancora il suo fascino, ma solo perché in partenza ne aveva proprio tanto, dato che negli ultimi anni è diventata di certo più sicura, pulita e «per bene», con l'apertura di una miriade di locali alla moda (e alla fine tutti uguali) e boutiques chic, ma anche tanto, tanto meno «autentica». Eh sì: la «Torino da bere» presenta innegabili vantaggi, ma la nostalgia per le stradine malconce, le case malandate, i portoni bui ma pieni di mistero e di fascino un po' mi manca. Manca a me, che sono relativamente giovane e che quindi forse ho non nemmeno mai conosciuto quella Torino alla Arpino; figuriamoci quanto manca a chi l'ha vissuta davvero: per me, in fondo – che poi son mandrogna – è, se non proprio archeologia, diciamo vintage. E così, ieri sera, eccola lì: la piola. Un reperto archeologico, un tocco di vintage nella Torino dei fighetti. Ovviamente siamo entrati. Che magia varcare la soglia. Nella microscopica stanza, sulla sinistra un bancone su cui campeggia una Faema a occhio e croce anni sessanta; a destra due o tre tavolini in formica; alle pareti una boiserie di dubbio gusto ed etichette di vini e liquori (un po' sghembe). Oltre una portina, un cortiletto con qualche seggiola, fra case fatiscenti e mezzo vuote e palazzi del Settecentesco perfettamente restaurati. Il Pupo (che non perde mai tempo quando si tratta di faccende importanti) ordina due bianchini. Ce li versa – con mano più ferma di quanto mi sarei aspettata – un signore anziano dal fare dignitoso, con tanto di grembiale blu, molto professionale. Ce li mesce da un bottiglione, un dupiliter, ovviamente senza etichetta. Sul bancone, accanto ai croissant, ci sono le uova sode: meraviglia! Robe d'altri tempi, quasi esotiche (fan tanto Maigret). Sorseggio il mio vinello bianco assaporando più che altro l'atmosfera, che è impagabile. E invece un costo ce l'ha: 1 euro, il bianchino. Sarà un prezzo simbolico: un posto così non ha prezzo!

Per chi fosse interessato al locale (ma mi raccomando: no perditempo, neh), ecco qui qualche link dove potrete trovare degli articoli su questa piola:
http://www3.lastampa.it/cucina/sezioni/dove/sulla-strada/articolo/lstp/402384/
http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/04/02/news/ma_che_gioia_la_vineria_ranzini_autentica_sapida_ed_economica-14400757/
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/07/02/dai-ranzini-suggestioni-da-fine-ottocento.html

Insomma: l'inizio della serata è stato ottimo. Continuiamo a vagare senza meta per le stradine ancora non troppo affollate del Quadrilatero, e arriviamo a un'altra mescita vini, questa con qualche pretesa, ma per fortuna delle chicche le conserva, come gli habitué che giocano a carte nella stanza a fianco. Ma per farvi capire quanto questo locale sia più «addomesticato» della piola di cui sopra, vi basti sapere che qui, col vino, ti danno anche i rubatà; e il vino costa da 1,30 a 2,50. Decisamente, un'altra cosa. Comunque da provare.

Ma a quel punto ci è venuto un certo languirino, e così ci siamo incamminati verso il nostro obiettivo: il ristorante siberiano. Il locale è stupendo: una vastissima stanza con un soffitto a cassettoni imponente, davvero uno spettacolo. Merita già solo per questo. Poi, se ci si ferma anche a mangiare tanto meglio... Dato che era la nostra «prima volta» con la cucina siberiana, abbiamo optato per il piatto Sibir, che presenta il vantaggio di essere componibile e «libero», il che nel mio caso è sempre un vantaggio perché ho il dono di riuscire a far stare in un piatto una quantità di cibo inimmaginabile, che sfida le leggi della fisica. C'è un bouffet di vari tipi di carne ancora cruda tagliata a cubetti (tacchino, agnello, manzo, maiale), salsiccia, gamberoni di fiume e verdure varie: ti ci riempi il piatto e lo porti al cuoco che ti cuoce il tutto sulla pietra, ti ricompone il piatto e ci aggiunge riso nero venere e riso bianco basmati; poi tu completi con salse e spezie a piacere. Era davvero una delizia, accompagnato da una birra Baltika, che, essendo molto simile a una weiss, ho trovato molto buona. Per finire... ho spiluccato il dolce dal piatto del Pupo, che non si lascia certo mettere ko da un piatto gigantesco di carne e verdura e riso e salse e spezie, e ha ordinato pure il dessert! Proprio un'ottima cena.


Siamo usciti dal ristorante sazi e soddisfatti.
Intanto era calato il buio, e le viuzze del Quadrilatero, specie quelle meno affollate, sotto le luci calde e fioche dei lampioni ritrovano un poco del loro fascino d'antan, così come lo ritrovano nella fredda luce del mattino. E quindi abbiamo continuato il nostro vagare. E come spesso accade quando si vaga senza meta e soprattutto senza fretta, abbiamo scoperto delle piccole meraviglie: il terrazzo di un anonimo palazzone contornato da una fila di ombrelloni, che si stagliavano bianchissimi contro il cielo scuro e nuvoloso e ondeggiavano al vento della sera, come fantasmi. E poi un cortile incantevole, un posto davvero speciale che mi sono ripromessa di andare a «perlustrare» di giorno, sperando di trovare il portone aperto: una specie di chiostro verandato con lampioni di ferro battuto lavorato come un pizzo e paracarri di bronzo in foggia di demoni. Oltre il cortile se ne scorgeva un altro (questo, purtroppo, chiuso da una vetrata) pieno di verde e di mistero.
Abbiamo poi passeggiato ancora un po', ma spingendoci sempre più verso casa, perché ormai la stanchezza si faceva sentire. Comunque, è stata un serata bellissima!

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